Le esecuzioni sommarie nella Grande Guerra e la decimazione di Monte Mosciagh.
Ormai che i festeggiamenti per il 4 Novembre sono avviati, ritengo che la memoria di questi fatti non debba andare persa, anche perché ci aiuta a riflettere sul fatto che le guerre é sempre meglio non dichiararle, a prescindere dalle ragioni che possono giustificarle, come peraltro ci ricorda anche l’articolo 11 della nostra Costituzione.
La disciplina delle truppe fu la prima preoccupazione di Cadorna.
Costituì per lui una vera e propria ossessione e questo fu particolarmente grave perché fra le nostre truppe non si verificarono episodi di indisciplina di massa.
I nostri soldati combatterono con grande coraggio e spirito di sacrificio in condizioni estreme, con carenze pesantissime di mezzi ed armamenti.
I soldati italiani, incolpevoli vittime di macroscopici errori altrui, furono pure ripetutamente accusati di vigliaccheria. Gli alti comandi diedero loro la colpa del fallimento di azioni che non avevano nessuna possibilità di riuscita. Furono ritenuti i primi responsabili delle peggiori disfatte come nel caso della Strafexpedition e della ritirata di Caporetto.
Cadorna si adoperò strenuamente perché la giustizia militare fosse inflessibile e improntata al rigore più estremo.
Richiamò costantemente i Tribunali di guerra affinché applicassero le pene più severe e ignorassero le già ristrette norme di tutela degli imputati, fino a rimuovere dall’incarico i magistrati che non si adeguavano alle sue direttive.
Le pressioni di Cadorna ebbero successo:
262.000 soldati processati (il 6% dei mobilitati) con condanna nel 62,6% dei casi.
4.028 condanne a morte di cui 1.061 in contraddittorio. 750 furono eseguite.
15.345 ergastoli.
Queste cifre, apparentemente irrisorie rispetto al numero di circa 650.000 caduti, fanno riflettere se comparate con quelle degli altri eserciti in campo. L’Italia é il paese che eseguì il maggior numero di condanne a morte (fatto salvo l’esercito russo), tenendo conto che combatté 10 mesi di meno:
Francia 650 fucilazioni in presenza di un esercito doppio.
Inghilterra 350 fucilazioni (esercito quasi uguale).
Germania meno di 50 fucilazioni.
La giustizia dei Tribunali colpiva quindi con estrema durezza, ma il Comando Supremo se ne dichiarò sempre insoddisfatto, tanto che prescrisse il ricorso alla giustizia sommaria, cioè all’esecuzione senza processo.
Il ricorso alla fucilazione senza processo era ammesso dal CPM e dalle Norme per il combattimento. Ma per considerare legittime le esecuzioni sommarie, dovevano presentarsi contemporaneamente 3 condizioni:
- flagranza del reato
- reato consumato “in faccia al nemico”
- pericolo grave ed immediato per la tenuta di un tratto di fronte.
In sostanza, si doveva ricorrere alla giustizia sommaria, solo se era l’unico modo di interrompere una gravissima azione nel corso di un combattimento.
Cadorna prescrisse invece il ricorso sistematico alla giustizia sommaria sin dal primo giorno di guerra con ripetute circolari e silurando chi non si adeguava.
Raccomandò inoltre, qualora non si riuscissero ad individuare i colpevoli, di ricorrere alla decimazione dei reparti in cui erano avvenuti i reati.
Circolare telegrafica dell’1/11/16: “Ricordo che non vi è altro mezzo idoneo per reprimere reati collettivi che quello di fucilare immediatamente maggiori colpevoli et allorché accertamento identità personale dei responsabili non è possibile rimane ai comandanti il diritto et il dovere di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari et punirli con la pena di morte. A cotesto dovere nessuno che sia conscio della necessità di una ferrea disciplina si può sottrarre ed io ne faccio obbligo assoluto ed indeclinabile a tutti i comandanti”.
Cadorna rese così la giustizia sommaria uno strumento “normale” dell’arsenale disciplinare dell’esercito italiano:
27 civili e 263 soldati furono uccisi sommariamente. A questo numero vanno aggiunte le vittime di 6 casi di fuoco sulle truppe che non è stato possibile quantificare. Si può quindi affermare che, nel corso del conflitto, morirono per mano italiana senza processo almeno 350 persone.
Questi sono i morti di cui abbiamo trovato traccia, io e Marco Pluviano, nel corso di ricerche svolte presso l’Archivio centrale dello Stato e l’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, ma la cifra è sicuramente per difetto perché:
- molti documenti furono distrutti durante la ritirata di Caporetto;
- diversi ufficiali che avevano ordinato o eseguito in prima persona atti di giustizia sommaria preferirono non darne notizia ufficiale;
- gli archivi sono disordinati;
- gli uccisi durante la ritirata di Caporetto non sono mai stati quantificati in modo attendibile.
Solo una minoranza degli atti di giustizia sommaria compiuti nell’esercito italiano fu “legittima”. Fu cioè eseguita nel fuoco della battaglia e in flagranza di reato. Abbiamo potuto inserire in questa tipologia “solo” 21 vittime cui vanno aggiunti cinque episodi di fuoco sulle truppe. Questi casi sono i più difficili da quantificare perché nei documenti ne resta raramente traccia. Questo tipo di esecuzioni si verificò anche in altri eserciti.
La maggior parte delle esecuzioni ebbe invece come unico fondamento le prescrizioni di Cadorna, che concepiva – come abbiamo visto - la repressione quale primo strumento di disciplina. Questo gruppo, nel quale possiamo far rientrare 210 vittime e un caso con un numero di caduti imprecisato, é caratterizzato da esecuzioni che possiamo definire “a freddo”. Avvenute cioè dopo un certo lasso di tempo dalla consumazione del reato, nelle retrovie e spesso a danno di truppe non ancora impegnate in combattimento. Tutti casi nei quali sarebbe stato possibile il deferimento dei colpevoli ai tribunali.
Questa tipologia fu una peculiarità tutta italiana.
Ormai che i festeggiamenti per il 4 Novembre sono avviati, ritengo che la memoria di questi fatti non debba andare persa, anche perché ci aiuta a riflettere sul fatto che le guerre é sempre meglio non dichiararle, a prescindere dalle ragioni che possono giustificarle, come peraltro ci ricorda anche l’articolo 11 della nostra Costituzione.
La disciplina delle truppe fu la prima preoccupazione di Cadorna.
Costituì per lui una vera e propria ossessione e questo fu particolarmente grave perché fra le nostre truppe non si verificarono episodi di indisciplina di massa.
I nostri soldati combatterono con grande coraggio e spirito di sacrificio in condizioni estreme, con carenze pesantissime di mezzi ed armamenti.
I soldati italiani, incolpevoli vittime di macroscopici errori altrui, furono pure ripetutamente accusati di vigliaccheria. Gli alti comandi diedero loro la colpa del fallimento di azioni che non avevano nessuna possibilità di riuscita. Furono ritenuti i primi responsabili delle peggiori disfatte come nel caso della Strafexpedition e della ritirata di Caporetto.
Cadorna si adoperò strenuamente perché la giustizia militare fosse inflessibile e improntata al rigore più estremo.
Richiamò costantemente i Tribunali di guerra affinché applicassero le pene più severe e ignorassero le già ristrette norme di tutela degli imputati, fino a rimuovere dall’incarico i magistrati che non si adeguavano alle sue direttive.
Le pressioni di Cadorna ebbero successo:
262.000 soldati processati (il 6% dei mobilitati) con condanna nel 62,6% dei casi.
4.028 condanne a morte di cui 1.061 in contraddittorio. 750 furono eseguite.
15.345 ergastoli.
Queste cifre, apparentemente irrisorie rispetto al numero di circa 650.000 caduti, fanno riflettere se comparate con quelle degli altri eserciti in campo. L’Italia é il paese che eseguì il maggior numero di condanne a morte (fatto salvo l’esercito russo), tenendo conto che combatté 10 mesi di meno:
Francia 650 fucilazioni in presenza di un esercito doppio.
Inghilterra 350 fucilazioni (esercito quasi uguale).
Germania meno di 50 fucilazioni.
La giustizia dei Tribunali colpiva quindi con estrema durezza, ma il Comando Supremo se ne dichiarò sempre insoddisfatto, tanto che prescrisse il ricorso alla giustizia sommaria, cioè all’esecuzione senza processo.
Il ricorso alla fucilazione senza processo era ammesso dal CPM e dalle Norme per il combattimento. Ma per considerare legittime le esecuzioni sommarie, dovevano presentarsi contemporaneamente 3 condizioni:
- flagranza del reato
- reato consumato “in faccia al nemico”
- pericolo grave ed immediato per la tenuta di un tratto di fronte.
In sostanza, si doveva ricorrere alla giustizia sommaria, solo se era l’unico modo di interrompere una gravissima azione nel corso di un combattimento.
Cadorna prescrisse invece il ricorso sistematico alla giustizia sommaria sin dal primo giorno di guerra con ripetute circolari e silurando chi non si adeguava.
Raccomandò inoltre, qualora non si riuscissero ad individuare i colpevoli, di ricorrere alla decimazione dei reparti in cui erano avvenuti i reati.
Circolare telegrafica dell’1/11/16: “Ricordo che non vi è altro mezzo idoneo per reprimere reati collettivi che quello di fucilare immediatamente maggiori colpevoli et allorché accertamento identità personale dei responsabili non è possibile rimane ai comandanti il diritto et il dovere di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari et punirli con la pena di morte. A cotesto dovere nessuno che sia conscio della necessità di una ferrea disciplina si può sottrarre ed io ne faccio obbligo assoluto ed indeclinabile a tutti i comandanti”.
Cadorna rese così la giustizia sommaria uno strumento “normale” dell’arsenale disciplinare dell’esercito italiano:
27 civili e 263 soldati furono uccisi sommariamente. A questo numero vanno aggiunte le vittime di 6 casi di fuoco sulle truppe che non è stato possibile quantificare. Si può quindi affermare che, nel corso del conflitto, morirono per mano italiana senza processo almeno 350 persone.
Questi sono i morti di cui abbiamo trovato traccia, io e Marco Pluviano, nel corso di ricerche svolte presso l’Archivio centrale dello Stato e l’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, ma la cifra è sicuramente per difetto perché:
- molti documenti furono distrutti durante la ritirata di Caporetto;
- diversi ufficiali che avevano ordinato o eseguito in prima persona atti di giustizia sommaria preferirono non darne notizia ufficiale;
- gli archivi sono disordinati;
- gli uccisi durante la ritirata di Caporetto non sono mai stati quantificati in modo attendibile.
Solo una minoranza degli atti di giustizia sommaria compiuti nell’esercito italiano fu “legittima”. Fu cioè eseguita nel fuoco della battaglia e in flagranza di reato. Abbiamo potuto inserire in questa tipologia “solo” 21 vittime cui vanno aggiunti cinque episodi di fuoco sulle truppe. Questi casi sono i più difficili da quantificare perché nei documenti ne resta raramente traccia. Questo tipo di esecuzioni si verificò anche in altri eserciti.
La maggior parte delle esecuzioni ebbe invece come unico fondamento le prescrizioni di Cadorna, che concepiva – come abbiamo visto - la repressione quale primo strumento di disciplina. Questo gruppo, nel quale possiamo far rientrare 210 vittime e un caso con un numero di caduti imprecisato, é caratterizzato da esecuzioni che possiamo definire “a freddo”. Avvenute cioè dopo un certo lasso di tempo dalla consumazione del reato, nelle retrovie e spesso a danno di truppe non ancora impegnate in combattimento. Tutti casi nei quali sarebbe stato possibile il deferimento dei colpevoli ai tribunali.
Questa tipologia fu una peculiarità tutta italiana.
All’estero la repressione sommaria contro i soldati fu assai rara. Si trattò di pochi casi - qualche decina - pur in presenza di atti di rivolta e ammutinamento ben più gravi.
A queste tipologie vanno aggiunte le vittime civili, quasi tutti slavi o germanofoni, ed i fucilati durante la rotta di Caporetto.
In questo contesto di spregio delle più elementari norme giuridiche e di ogni rispetto verso i nostri combattenti, maturò l’episodio della decimazione dei soldati della Brigata Catanzaro sul Monte Mosciagh. Qui un reparto valoroso fu colpito indiscriminatamente e in modo sproporzionato, ben oltre ogni addebito che avrebbe potuto ricevere nel corso di un qualunque procedimento giudiziario, come infatti si verificò quando i soldati scampati alla decimazione furono giudicati da un Tribunale.
Il 26 maggio due battaglioni del 141° reggimento occupavano le posizioni del Monte Mosciagh. Il resto del reggimento era attendato di rincalzo sulle pendici del monte, pronto ad intervenire in caso di necessità. Intorno alle 19 le posizioni italiane sul Mosciagh furono colpite da un violento temporale accompagnato da una forte grandinata e gli austriaci ne approfittarono per scatenare un furioso attacco. In un tratto della prima linea si sviluppò il panico e gruppi di soldati si ritirarono disordinatamente piombando sulle posizioni retrostanti. Mentre alcuni graduati urlavano di fuggire per sottrarsi alla cattura, i cavalli di un carriaggio di artiglieria s'imbizzarrirono precipitandosi al galoppo negli attendamenti.
Il risultato di questo caos infernale fu che alcune centinaia di militari del 141° si sparpagliarono nei boschi circostanti, immediatamente bersagliati dal fuoco italiano. Una parte degli sbandati fu radunata e riportata subito in linea per contrattaccare, ma molti tornarono al reparto solo il mattino seguente, in parte spontaneamente e in parte arrestati dai Carabinieri. La giustizia sommaria colpì duramente chi fece ritorno - in un modo o nell’altro - al proprio reparto durante la mattinata.
Il comandante del reggimento, colonnello Attilio Thermes, ordinò 12 fucilazioni che furono eseguite il giorno 28 sulle pendici del monte Sprunck, dove nel frattempo si era ritirato il reggimento. Inoltre, 6 graduati e 68 soldati furono denunciati al Tribunale di guerra del XIV Corpo d’Armata.
La mattina del giorno in cui era avvenuto lo sbandamento, il Comandante Supremo aveva inviato un Ordine del Giorno al comandante del settore, generale Lequio, che affermava: "Mentre nel resto della fronte le truppe si comportano ovunque valorosamente, in questi giorni, per parte di alcune unità del settore di Asiago, sono accaduti invece dei fatti oltremodo vergognosi, indegni di un esercito che abbia il culto dell'onore militare. Posizioni di capitale importanza e di facile difesa sono cadute in mano di pochi nemici senza alcuna resistenza”. Cadorna proseguiva impartendo le seguenti disposizioni: “L'Eccellenza vostra provveda le energiche ed estreme misure; faccia fucilare immediatamente, se occorre, e senza alcun procedimento, i colpevoli di così enorme scandalo, a qualunque grado appartengano”.
La storiografia odierna afferma che i grandi successi conseguiti dagli austroungarici nel corso dell’offensiva furono dovuti ad una molteplicità di cause e non al cattivo contegno delle truppe. Il generale Cadorna preferì invece addossare la responsabilità del disastro alla mancanza di coraggio dei suoi soldati, e nello stesso modo si comportò nella circostanza ben più grave della ritirata di Caporetto. Durante la Strafexpedition vi furono molti casi di esecuzioni sommarie, ma ad essere fucilati furono solo i soldati e non gli alti ufficiali che commisero errori gravissimi.
Il colonnello Thermes si adeguò prontamente alle direttive di Cadorna con uno zelo comunque eccessivo, poiché i militari fucilati erano ormai rientrati al reparto e si poteva procedere al giudizio da parte di un Tribunale straordinario.
Il 28 maggio fece fucilare i più alti in grado tra gli sbandati: il sottotenente Giovanni Romanelli e i sergenti Celeste Tabiadon, Angelo Lossi e Ferdinando Catalano. Ordinò, per buona misura, anche la fucilazione di 8 tra graduati e soldati sorteggiati tra gli altri 82 militari rientrati in ritardo.
Il Comando Supremo non era ancora soddisfatto e avrebbe preferito che i superstiti alla decimazione fossero giudicati da un Tribunale straordinario che avrebbe fornito maggiori garanzie di erogare una giustizia esemplare. Ma Thermes preferì deferirli al Tribunale Militare. Il generale Della Noce – capo dell’Ufficio giustizia - invitò l’avvocato fiscale Longobardo a: “Inspirare nel presidente e nei giudici il sentimento del massimo rigore richiedendo l’applicazione della massima pena senza attenuanti per sostenere il prestigio del Comando di Regg.to e sia perché continui l’esemplarità della repressione”.
Nonostante le fortissime pressioni sui giudici, il 1° luglio 1916 il Tribunale concluse il processo condannando gli imputati a pene miti.
Dei 74 superstiti alla decimazione ne furono condannati solo 66, perché il collegio giudicante valutò che 8 di loro erano stati estranei allo sbandamento. Uno, ad esempio, faceva la guardia ai sacchi della posta ad Asiago, mentre un altro era disceso la sera del 26 maggio al posto di medicazione a portare un ferito. Questo é un elemento particolarmente significativo perché essi subirono il sorteggio, scampando per pura fortuna alla morte. Non è quindi da escludersi che, tra i soldati fucilati, vi siano state persone estranee allo sbandamento.
Il colonnello Thermes fu citato, come esempio agli ufficiali, nell’Ordine del giorno del 22 giugno 1916 indirizzato a tutto l’esercito. L’altissimo onore non gli fu tributato per un atto di valore, ma per aver fatto fucilare senza processo i suoi uomini: “Per il sacrosanto provvedimento disciplinare da lui preso”. Si trattò del primo encomio ad personam, perché Cadorna preferiva non esaltare le gesta dei singoli a favore del collettivo. Non mancarono reazioni negative a questo fatto: diversi si chiesero se in tanti mesi di aspri combattimenti proprio nessuno - prima di Thermes - avesse compiuto atti di valore tali da meritare la citazione del proprio nome!
La Brigata fu pubblicamente lodata e decorata per il brillante comportamento durante gli scontri sull’Altopiano. Negli stessi giorni, nello stesso luogo, nello stesso reparto e per le stesse azioni, da un lato si fucilava e dall'altro si premiava!
Per concludere, ricordo che la valorosa Brigata Catanzaro fu tragicamente colpita dalla decimazione anche nel corso della rivolta di Santa Maria la Longa nel luglio 1917. Ma questo è un altro spettacolo....."
A queste tipologie vanno aggiunte le vittime civili, quasi tutti slavi o germanofoni, ed i fucilati durante la rotta di Caporetto.
In questo contesto di spregio delle più elementari norme giuridiche e di ogni rispetto verso i nostri combattenti, maturò l’episodio della decimazione dei soldati della Brigata Catanzaro sul Monte Mosciagh. Qui un reparto valoroso fu colpito indiscriminatamente e in modo sproporzionato, ben oltre ogni addebito che avrebbe potuto ricevere nel corso di un qualunque procedimento giudiziario, come infatti si verificò quando i soldati scampati alla decimazione furono giudicati da un Tribunale.
Il 26 maggio due battaglioni del 141° reggimento occupavano le posizioni del Monte Mosciagh. Il resto del reggimento era attendato di rincalzo sulle pendici del monte, pronto ad intervenire in caso di necessità. Intorno alle 19 le posizioni italiane sul Mosciagh furono colpite da un violento temporale accompagnato da una forte grandinata e gli austriaci ne approfittarono per scatenare un furioso attacco. In un tratto della prima linea si sviluppò il panico e gruppi di soldati si ritirarono disordinatamente piombando sulle posizioni retrostanti. Mentre alcuni graduati urlavano di fuggire per sottrarsi alla cattura, i cavalli di un carriaggio di artiglieria s'imbizzarrirono precipitandosi al galoppo negli attendamenti.
Il risultato di questo caos infernale fu che alcune centinaia di militari del 141° si sparpagliarono nei boschi circostanti, immediatamente bersagliati dal fuoco italiano. Una parte degli sbandati fu radunata e riportata subito in linea per contrattaccare, ma molti tornarono al reparto solo il mattino seguente, in parte spontaneamente e in parte arrestati dai Carabinieri. La giustizia sommaria colpì duramente chi fece ritorno - in un modo o nell’altro - al proprio reparto durante la mattinata.
Il comandante del reggimento, colonnello Attilio Thermes, ordinò 12 fucilazioni che furono eseguite il giorno 28 sulle pendici del monte Sprunck, dove nel frattempo si era ritirato il reggimento. Inoltre, 6 graduati e 68 soldati furono denunciati al Tribunale di guerra del XIV Corpo d’Armata.
La mattina del giorno in cui era avvenuto lo sbandamento, il Comandante Supremo aveva inviato un Ordine del Giorno al comandante del settore, generale Lequio, che affermava: "Mentre nel resto della fronte le truppe si comportano ovunque valorosamente, in questi giorni, per parte di alcune unità del settore di Asiago, sono accaduti invece dei fatti oltremodo vergognosi, indegni di un esercito che abbia il culto dell'onore militare. Posizioni di capitale importanza e di facile difesa sono cadute in mano di pochi nemici senza alcuna resistenza”. Cadorna proseguiva impartendo le seguenti disposizioni: “L'Eccellenza vostra provveda le energiche ed estreme misure; faccia fucilare immediatamente, se occorre, e senza alcun procedimento, i colpevoli di così enorme scandalo, a qualunque grado appartengano”.
La storiografia odierna afferma che i grandi successi conseguiti dagli austroungarici nel corso dell’offensiva furono dovuti ad una molteplicità di cause e non al cattivo contegno delle truppe. Il generale Cadorna preferì invece addossare la responsabilità del disastro alla mancanza di coraggio dei suoi soldati, e nello stesso modo si comportò nella circostanza ben più grave della ritirata di Caporetto. Durante la Strafexpedition vi furono molti casi di esecuzioni sommarie, ma ad essere fucilati furono solo i soldati e non gli alti ufficiali che commisero errori gravissimi.
Il colonnello Thermes si adeguò prontamente alle direttive di Cadorna con uno zelo comunque eccessivo, poiché i militari fucilati erano ormai rientrati al reparto e si poteva procedere al giudizio da parte di un Tribunale straordinario.
Il 28 maggio fece fucilare i più alti in grado tra gli sbandati: il sottotenente Giovanni Romanelli e i sergenti Celeste Tabiadon, Angelo Lossi e Ferdinando Catalano. Ordinò, per buona misura, anche la fucilazione di 8 tra graduati e soldati sorteggiati tra gli altri 82 militari rientrati in ritardo.
Il Comando Supremo non era ancora soddisfatto e avrebbe preferito che i superstiti alla decimazione fossero giudicati da un Tribunale straordinario che avrebbe fornito maggiori garanzie di erogare una giustizia esemplare. Ma Thermes preferì deferirli al Tribunale Militare. Il generale Della Noce – capo dell’Ufficio giustizia - invitò l’avvocato fiscale Longobardo a: “Inspirare nel presidente e nei giudici il sentimento del massimo rigore richiedendo l’applicazione della massima pena senza attenuanti per sostenere il prestigio del Comando di Regg.to e sia perché continui l’esemplarità della repressione”.
Nonostante le fortissime pressioni sui giudici, il 1° luglio 1916 il Tribunale concluse il processo condannando gli imputati a pene miti.
Dei 74 superstiti alla decimazione ne furono condannati solo 66, perché il collegio giudicante valutò che 8 di loro erano stati estranei allo sbandamento. Uno, ad esempio, faceva la guardia ai sacchi della posta ad Asiago, mentre un altro era disceso la sera del 26 maggio al posto di medicazione a portare un ferito. Questo é un elemento particolarmente significativo perché essi subirono il sorteggio, scampando per pura fortuna alla morte. Non è quindi da escludersi che, tra i soldati fucilati, vi siano state persone estranee allo sbandamento.
Il colonnello Thermes fu citato, come esempio agli ufficiali, nell’Ordine del giorno del 22 giugno 1916 indirizzato a tutto l’esercito. L’altissimo onore non gli fu tributato per un atto di valore, ma per aver fatto fucilare senza processo i suoi uomini: “Per il sacrosanto provvedimento disciplinare da lui preso”. Si trattò del primo encomio ad personam, perché Cadorna preferiva non esaltare le gesta dei singoli a favore del collettivo. Non mancarono reazioni negative a questo fatto: diversi si chiesero se in tanti mesi di aspri combattimenti proprio nessuno - prima di Thermes - avesse compiuto atti di valore tali da meritare la citazione del proprio nome!
La Brigata fu pubblicamente lodata e decorata per il brillante comportamento durante gli scontri sull’Altopiano. Negli stessi giorni, nello stesso luogo, nello stesso reparto e per le stesse azioni, da un lato si fucilava e dall'altro si premiava!
Per concludere, ricordo che la valorosa Brigata Catanzaro fu tragicamente colpita dalla decimazione anche nel corso della rivolta di Santa Maria la Longa nel luglio 1917. Ma questo è un altro spettacolo....."
1 commento:
Ciao, sono Ettore Gallo… Sono un ragazzo di 14 anni. Il tuo blog mi è piaciuto molto. Perché non vai a visitare il mio (ettoregallothewolf.blogspot.com)? Magari potremmo anche effettuare uno scambio di link. A presto…
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